La riabilitazione dei tedeschi sovietici fu lenta. Una risoluzione del Consiglio dei Ministri liberò i primi tedeschi dai "villaggi speciali" nel luglio 1954, sedici mesi dopo la morte di Stalin: erano i bambini sotto i 16 anni. Un anno dopo (maggio 1955) furono liberati i tedeschi mobilitati per il lavoro forzato. Nel dicembre dello stesso anno, infine, fu la volta dei rimanenti 700.000 tedeschi ancora nei luoghi di deportazione. Tuttavia, il decreto di liberazione proibiva esplicitamente ai tedeschi di ritornare nei luoghi dai quali erano stati deportati quindici anni prima, e escludeva qualsiasi risarcimento per le proprietà confiscate: i tedeschi sovietici beneficiavano di un'amnistia, ma rimanevano traditori della patria. Si dovette attendere il 1964 perché l'accusa di tradimento fosse ufficialmente cancellata, senza che però fosse riconosciuto il diritto al risarcimento o al ritorno. Solo nel 1972, infine, fu permesso ai tedeschi sovietici di stabilirsi in qualsiasi zona del territorio sovietico, ma ormai le loro regioni, villaggi e case di origine erano abitate da trent'anni da russi immigrati subito dopo la deportazione. Del resto, la deportazione aveva cancellato molte delle specificità culturali dei tedeschi sovietici, che per decenni non poterono più frequentare scuole in tedesco o leggere libri e giornali stampati nella loro lingua. Se nel censimento del 1926 quasi il 95% dei tedeschi sovietici indicava come lingua madre il tedesco, nel 1970 questa percentuale era scesa al 67%, e al 49% nel 1989.
Inoltre, se all'inizio del secolo i matrimoni erano per la stragrande maggioranza interni alla comunità, negli anni '70 più della metà dei tedeschi era sposato a persone di nazionalità russa o ucraina. Già a partire dagli anni '70, e poi con la "perestrojka" e il crollo dell'URSS ormai l'obiettivo degli ex-deportati non era il ritorno ai luoghi da cui era avvenuta la deportazione, ma l'emigrazione in Germania.
No comments:
Post a Comment